martedì 24 settembre 2013

Debito pubblico: di chi è la colpa? Come uscirne?

Questo post si propone di analizzare a fondo i meccanismi dei debiti nazionali; non si capisce se la perversione più grande stia nel meccanismo in sé o nel fatto che sia tutto alla luce del sole. Solo il 14% circa del debito italiano è in mano a investitori privati; il resto è in mano a banche, perlopiù estere, e compagnie assicurative [1]. Siamo perciò di fronte a un rapporto a tre, nefasto come in amore, come cantava Renato Zero.


Questo è un sistema inventato dagli economisti, e come tale avvantaggia solo i finanzieri, gente cioè che fa i soldi con i soldi. Le banche prestano i soldi agli stati in quantità enormi, ricevendone interessi dell’ordine del 4-5% annuo senza alcun rischio. Guadagnano senza fare nulla. L’Italia pagherà solo di interessi circa 100 mld quest’anno: nei fatti, gli interessi sul debito pubblico costituiscono la tassa sulle banche. La cosa perversa è che le banche prestano soldi non loro, ricavandone profitti. Il contributo delle banche alla società è quindi ridotto a quello di parassiti. Io metto 100€ in banca, questa li presta all’Italia, chiedendo il 5% d’interesse annuo. Alla scadenza, l’Italia rimborsa capitale e interesse alla banca, caricando il tutto sulle tasse. Morale della favola: io, cittadino, ho dato indirettamente 5€ d’interesse alla banca sui miei stessi soldi, facendo sembrare che i miei governanti abbiano fatto un buon lavoro e ingrassando i banchieri. Tutto a mie spese: geniale quanto diabolico.

Funzione del debito nel bilancio di uno stato
Le entrate di uno stato sono essenzialmente le tasse, o gettito fiscale, mentre le uscite sono invece costituite dal costo dei servizi (pensioni, scuole, ecc.). Siccome il gettito fiscale dipende dall’economia, che è variabile, mentre i servizi da pagare sono abbastanza costanti, è praticamente impossibile pareggiare perfettamente il bilancio di uno stato anno per anno. In caso di bilancio positivo si parla di avanzo primario, mentre in caso opposto si parla di deficit. In un paese sano, il ricorso al debito dovrebbe servire a coprire piccoli disavanzi di bilancio, nell’ordine del punto % di PIL, e a patto che negli anni vi sia un’alternanza di bilanci positivi e negativi. In questo modo un piccolo debito funziona da polmone dell’economia. L’Italia, invece, non ha mai avuto un bilancio in pareggio e tantomeno positivo negli ultimi 40 anni: questo significa che abbiamo sempre speso di più delle nostre possibilità, accumulando continuamente debiti. Si è, inoltre, ricorsi allo strumento del debito non solo per coprire piccoli disavanzi ma per finanziare privilegi folli e senza nessuna possibilità di ritorni economici futuri, come babypensioni, pensioni d’oro e costi della politica (vedi La spesa pubblica in Italia), nascondendo così sotto al tappeto le nefandezze di una classe politica malata.

Il debito: capitale e interessi
Come funziona l’emissione dei titoli di Stato? Circa come per i prestiti che può chiedere chiunque alla banca; nel caso di un prestito personale però, normalmente si devono restituire rate mensili comprensive di una quota di capitale e di una quota d’interessi. Nel caso dei titoli di stato invece, alla scadenza si liquidano in un’unica soluzione capitale e interessi. Facciamo un esempio: se io mi sono fatto prestare 100€ e la banca mi ha chiesto il 5% annuo d’interesse, con questo meccanismo alla scadenza dovrò restituire 105€. 
Siccome restituire in un'unica soluzione capitale e interessi non è mai comodo, soprattutto se l'anno precedente si hanno avuto "soldi facili" con cui finanziare il proprio benessere, ecco che gli stati tendono a rinnovare il debito, nel senso di pagare capitale e interessi ai creditori dell'anno precedente facendosi prestare nuovo denaro dagli investitori. In questo modo si maturano però gli interessi degli interessi, con un meccanismo esponenziale. E' chiaro che nessuna crescita di PIL al mondo potrà mai essere esponenziale per cui il debito crescerà sempre più rapidamente del PIL: quella della crescita a debito controllato è solo una favoletta.

Storia del debito italiano
Possiamo individuare 5 periodi:
1° periodo: anni ’70 e ’80, i governi continuavano a chiedere soldi a prestito, incuranti degli interessi oltre il 10% annuo e della crescita vorticosa del debito. In quegli anni la debolezza della lira pesava molto sugli interessi dei titoli di stato; gli investitori esteri pretendevano tassi molto alti per guadagnare nonostante la svalutazione costante della nostra moneta rispetto ad altre più forti
2° periodo: dal 1990 al 2002. Ci si rende conto che il debito è diventato insostenibile e si cerca di porre un freno alla sua crescita galoppante. Tra il ’90 e il ’94 non chiediamo più di aumentare il capitale prestato ma ci limitiamo a coprire gli interessi maturati con nuovi prestiti. Nel ’92 Amato autorizza un prelievo forzoso dello 0,6% sui conti corrente per sanare il buco di bilancio [7]. Fino al 2002 si susseguono governi di centrosinistra che ben lavorano al contenimento del debito, pur non entrando mai nella situazione “B”: si rallenta la crescita del debito, ma senza arrestarla. L’unico indicatore che migliora è il rapporto debito/PIL. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, entrambi economisti docenti alla Harvard, hanno detto che fino al 90% di rapporto debito/PIL va bene (peraltro sbagliando i calcoli [2]) e tutti hanno loro creduto. Per noi che siamo italiani anche il 100% va ancora bene, ovviamente, anche se si spende più d’interessi che per gli ospedali. Io dico che il debito pubblico massimo non deve mai superare il 5-6% del PIL, ma…non sono un economista.
3° fase: dal 2002, avvento dell’euro, al 2008 con la crisi internazionale. Con l’avvento dell’euro, la svalutazione della nostra moneta non pesa più sui tassi d’interesse, in quanto gli investitori esteri appartengono anch’essi all’area Euro. Questa è stata l’occasione irripetibile per abbattere finalmente il debito, eppure i governi Berlusconi che si succedono ne approfittano per creare nuovo debito, oltretutto non rispettando mai il tetto del 3% del deficit imposto dall'Europa. Il debito passa da 1300 a oltre 2100 miliardi di € in questa fase: è il colpo di grazia alla nostra economia.
4° fase: dal 2008, anno di inizio della crisi internazionale, al 2011, anno della “crisi dei debiti sovrani”. In questo periodo si ferma la crescita del PIL mentre il debito, sostenuto dalle nuove emissioni di titoli, continua a impennarsi. Gli italiani continuano a spendere quasi 2000€ di tasse a testa all’anno per pagare gli interessi sul debito ma questo non importa a nessuno. Gli investitori internazionali, invece, molto attenti al RAPPORTO DEBITO/PIL, notano a metà 2011(comunque troppo tardi) che questo sta sfondando quota 120% e iniziano a far impennare i tassi d’interesse che, a novembre dello stesso anno, arrivano all’8% annuo. Berlusconi non può risolvere la situazione se non con manovre impopolari e, aiutato dallo SPREAD, si dimette in favore di un governo tecnico che faccia il lavoro sporco. Lo spread è quel parametro che dice quanto valgono i tassi d’interesse dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi; i tedeschi, dal canto loro, sono anch’essi proni a questo gioco d'ingrasso delle banche ma, siccome la loro economia per adesso gira e sono ricchi, non ci fanno caso.
5° fase: dal 2011 ad oggi. Monti sale al governo con funzione di parafulmine durante la tempesta. Applica misure correttive che solo un professore della Bocconi avrebbe potuto immaginare: aumentare le tasse e tagliare i servizi. Riesce nella fantomatica impresa di contenere l’aumento del debito (attenzione: non di diminuirlo, bensì contenerne l’aumento). Gli investitori internazionali, leggasi banche estere, si rendono conto che se l’Italia diventasse insolvente sarebbero dolori per tutti, per cui smettono di tirare una corda già fin troppo tesa, lo spread magicamente scende e i tassi dei nostri titoli nel 2013 rientrano in area 4-5%. Se il paese fosse stato governato per 40 anni da Monti, cioè con attenzione alla crescita del debito, a quest’ora non avremmo problemi. Siccome però l’italiano medio ha la memoria di una lucertola, Berlusconi a inizio 2013, scampato il pericolo dello spread, può tornare alla carica con la sua nuova campagna elettorale riuscendo a far credere che la recessione sia colpa delle misure anti-crisi di Monti. Premesso che Monti non sia, nei fatti, quel che si definisce “un genio”, è però singolare che la causa del problema faccia ricadere le colpe sul rimedio accrescendo il suo consenso popolare. Viva l’Italia.

Analisi dei governi
Tempo fa il nostro premier S.B., dichiarò di essere il miglior presidente della storia della repubblica. A conti fatti, possiamo stilare un’insindacabile classifica matematica per quanto riguarda gli ultimi 40 anni di gestione della finanza pubblica:
Peggior governo negli ultimi 40 anni: 1985, governo Craxi. Riuscì nell’impresa di aumentare il debito di ben 53,2 miliardi di €, cioè il 12,38% del PIL di quell’anno. E’ come se un padre di famiglia che guadagna 1000€ al mese, oltre a spendere tutti i soldi guadagnati, si facesse ancora prestare ogni mese altri 123€ al tasso dell'8,4% annuo per riuscire a coprire le spese, anziché cercare di spendere un po’ meglio i soldi disponibili. Tra l’altro, impiega il denaro prestato in qualche giocattolo extra per i figli per far sembrare che vada tutto bene, ma principalmente per andare impunemente a puttane. I figli, dopo 20 anni di questo andazzo, si ritrovano un debito mostruoso da saldare e nulla più.
Se dobbiamo però guardare al danno arrecato in valore assoluto, la palma del vincitore spetta al governo Berlusconi del 2009: riuscì a creare debito per la stratosferica cifra di 106,7 MILIARDI DI € in un solo anno, con un deficit del 5,45%, incurante del tetto del 3% imposto dalla comunità europea. E' questo il grande statista di cui alcuni, oggi, hanno nostalgia? Quello che regala soldi prestati?
Miglior governo negli ultimi 40 anni: 1997, governo Prodi. Ridusse la crescita del debito di 72,3 miliardi di €, il 6,9% del PIL. Questo significa che riuscì a contenere la crescita restituendo quasi tutti gli interessi maturati, non che restituì parte del capitale. E’ già un bel risultato, se si fosse continuato su questa via anche dopo l’avvento dell’euro e con la conseguente riduzione dei tassi d’interesse, a quest’ora non avremmo avuto la crisi del debito oltre a quella internazionale. Considerare che negli anni ’80 il deficit di bilancio era dovuto a spese insostenibili e folli, mentre a partire dagli anni ’90 in poi è dovuto principalmente agli interessi sul debito: senza di esso avremmo avuto molti anni di avanzo primario

Grafici dei dati elaborati

1. PIL e debito degli ultimi 40 anni [3]. E’ ben visibile l’effetto della crisi del 2008 sul PIL (linea blu). Per quanto riguarda il debito (linea rossa), è importante l’inclinazione della curva. Da notare come il debito acceleri la sua crescita soprattutto negli anni ’90, cioè dopo che sono state prese misure per contenerlo. Questo significa che il debito è un mostro che si autoalimenta: più è grande e più cresce. Finché era piccolo ci hanno pensato i vari governi democristiano-socialisti a foraggiarlo, poi ha iniziato a camminare da solo.




2. Interessi passivi annui: gli interessi sono dati dal prodotto del capitale per il rendimento medio annuo dei titoli. Il capitale del debito è sempre stato in costante ascesa, mentre il rendimento dei titoli ha avuto delle variazioni sia a salire che a scendere nell’intervallo tra il 4 e l’11% Da notare, infatti, come gli interessi fossero più alti negli anni ’90, quando il debito era solo il 60% di quello odierno ma gli interessi dovevano essere più che che doppi, per via della dalla debolezza della lira, per attirare gli investitori esteri [4]. Anche questo grafico mostra come la maggior parte del danno sia da attribuire alle politiche degli anni ’80, vista l’impennata della curva degli interessi in quel periodo.




3. Saldo: questa è la differenza tra il debito dell’anno corrente e quello dell’anno precedente, al netto degli interessi maturati. Se è positivo (area indaco del grafico), significa che il governo ha emesso nuovi titoli in quantità superiore a quella pregressa, incassando così nuova liquidità (situazione “D”) ma accrescendo vertiginosamente il debito. Vediamo come questa fosse una situazione tipica degli anni ’80. Negli anni in cui il saldo è negativo, invece, si sta facendo qualcosa per ridurre o almeno contenere il debito ma, di contro, occorre aumentare le tasse per coprire il disavanzo. In questo caso il record spetta al governo Monti; è interessante notare come negli anni in cui un governo opera con lungimiranza, la sua popolarità crolli, mentre nei periodi in cui si sperpera denaro il popolo bue è contento.




4. Saldo cumulato negli anni, ovvero la somma di tutti i saldi degli anni precedenti. Il cumulo dei saldi fa capire bene come lo strumento del debito porti benefici solo nel breve termine, mentre nel lungo termine sia una macchina infernale foraggia-banche: il cumulo di liquidità ricevuta dall’Italia ha toccato il massimo di 210 miliardi di € nel 1994, dopodiché gli interessi hanno preso il sopravvento e il flusso monetario ha cambiato direzione (cioè verso le banche), raggiungendo il saldo negativo di -400 miliardi, a cui vanno aggiunti i 2000 di capitale ancora da rimborsare più gli interessi futuri da maturare. Proprio come il tizio “in balia degli usurai” della canzone di Celentano.




Soluzioni
Dichiarare bancarotta: cioè non restituire il capitale. Premesso che non restituire i soldi prestati è come rubare, questa sarebbe una via da non percorrere. Inoltre, una volta dichiarata la bancarotta, gli investitori internazionali abbandonerebbero e boicotterebbero il paese, costringendoci ad avere un costante avanzo primario di bilancio, cosa non impossibile ma nemmeno comoda da praticare. Considerato quanto hanno lucrato le banche in 40 anni sulle spalle dei cittadini, questa soluzione potrebbe anche essere considerata legittima ma, in un mero calcolo di convenienze, alla lunga l’isolamento internazionale potrebbe costare più del debito non saldato. Argentina docet [5-6].

Tagliare i servizi e aumentare le tasse: questa è la soluzione unica a cui arrivano fior di economisti e professori. Ha il difetto di deprimere l’economia in una spirale negativa del tipo

più tasse --> meno consumi --> meno gettito fiscale --> più tasse

Quindi, in sostanza, semplicemente non funziona.

Sanare il debito vendendo il patrimonio pubblico: quest’altra soluzione è molto in voga tra i giovani economisti rampanti che spopolano in decine di blog. Il problema è che vendere il patrimonio pubblico ai privati non porta nessuna garanzia sulla gestione dei beni a favore della collettività. Vendereste il Colosseo a un privato? Io direi di andarci cauti, è una cosa che va studiata a fondo. Inoltre, reperire investitori in un periodo di crisi non è affatto scontato.

Soluzione ”giapponese” o nazionalizzazione del debito: i giapponesi hanno il rapporto debito/PIL più alto al mondo, circa il 200%, eppure non vi è allarme attorno all’economia giapponese, o almeno non quanto attorno a quella dei cosiddetti PIGS (Portugal-Italy-Greece-Spain). Questo perché i giapponesi, da bravi giapponesi, remano tutti insieme e accettano di comprare i titoli dello stato giapponese con un tasso del 2%, anziché venderli alle banche. Vi sembra poco? Considerate che il tasso d’interesse dei conti correnti è 0%, a cui bisogna oltretutto sottrarre le spese; inoltre, il cittadino italiano paga indirettamente il 5% d’interesse alle banche sul debito pubblico anziché ricevere questo 2%, per cui la differenza tra sistema italiano e giapponese è 7%. Chiediamoci anche perché i governi giapponesi abbiano emesso una quantità così alta di titoli: per finanziare i privilegi di pochi? Ovviamente no. Hanno finanziato la ricostruzione delle infrastrutture a seguito di grandi catastrofi naturali, infrastrutture senza le quali la loro economia non sarebbe ripartita. Una persona tempo fa mi disse, con aria molto informata sui fatti, che non avremmo dovuto preoccuparci del debito perché in Giappone: "Ce l’hanno molto più alto e vivono benissimo".



Nel 1992 Amato autorizzò il prelievo forzoso sui conti correnti [7]. In quel caso i cittadini persero i soldi e basta. Se invece di fare un prelievo forzoso si facesse una “conversione forzosa” di denaro in buoni del tesoro, si otterrebbe lo stesso risultato con diversi vantaggi:

_non si rischia una sommossa popolare, in quanto il cittadino non perde i suoi risparmi
_gli interessi maturati finirebbero a disposizione dei cittadini anziché nei forzieri delle banche, con possibilità di incrementare i consumi e quindi l’economia e il gettito fiscale, in un circolo virtuoso
_si ridurrebbero gli interessi passivi a carico dello stato, creando così i presupposti per abbassare le tasse

Uscire dall’Euro: chi di noi non ha sentito almeno una volta invocare il ritorno alla cara vecchia lira, perché: “Allora si stava bene” (certo, ma con i soldi prestati e l'ammontare degli interessi ancora contenuto!). Ebbene, uscire dall’euro per passare a una moneta che si svaluterebbe in breve tempo del 50% equivale a raddoppiare di colpo il debito: una manovra non proprio congeniale alla soluzione della crisi. Dal punto di vista dell’economia reale, invece, si abbatterebbe il costo della manodopera in Italia con benefici all’industria e all’agricoltura; anche il turismo beneficerebbe dalla moneta debole. Di contro, l’energia costerebbe di più, come tutti i beni d’importazione, cioè tutta l’elettronica, tanto per fare un esempio. E’ difficile capire, a naso, se globalmente avremmo un benefico o meno, però l’effetto più immediato sarebbe l'impennarsi del debito e degli interessi da pagare, quindi prima di uscire dall’area euro occorrerà fare bene i calcoli.

Conclusioni
Storicamente il debito è stato creato nel corso degli anni ’70 e ’80 con politiche folli di spesa pubblica fuori controllo, dopodiché nemmeno con politiche virtuose si è riusciti a correggere la situazione, sopraffatti dall’incalzare degli interessi passivi sempre preponderanti rispetto ai tagli di spesa approvati dai governi.
Ad oggi, su ogni lavoratore gravano circa 2000€ l’anno di tasse solo per ripagare gli interessi passivi sul debito. Non è giusto né intelligente spendere più di interessi sul debito che per l’istruzione o per la sanità pubblica, quindi bisogna porre un rimedio. La soluzione ottimale pare essere quella della conversione della ricchezza privata in buoni del tesoro ad un tasso minore di quello di mercato (nazionalizzazione del debito), preservando così il potere d’acquisto del cittadino e riducendo allo stesso tempo il tasso d’interesse a carico della collettività.

[7]. http://www.qelsi.it/2011/quella-notte-del-92-in-cui-giuliano-amato-prelevo-dai-conti-correnti-degli-italiani-senza-avvisare/ 


sabato 31 agosto 2013

La spesa pubblica in Italia in tempo di crisi

Perché c’è la crisi? Perché sono calati i consumi mentre le tasse sono aumentate per pagare le spese dell’amministrazione pubblica, che sono invece rimaste le stesse di quando l’economia girava. Questo non significa che allora i soldi fossero spesi bene, semplicemente il problema era meno eclatante di oggi.

Ma dove vanno a finire le nostre tasse? Vediamo in dettaglio le voci di spesa del 2011 [1] e perché continuano a salire proprio adesso che siamo in crisi:


Pensioni: con 249,5 miliardi di € nel 2012 [2] e vicina al 16% del PIL, abbiamo la più alta spesa pensionistica in Europa [3-4]; questo poco invidiabile primato lo dobbiamo alla generosa e tutta italica usanza di pagare la pensione a gente che ha lavorato per un decimo della sua vita (le babypensioni, la “geniale” trovata di Rumor e Bertoldi del 1973), oppure a gente che ha lavorato in posti privilegiati grazie alle clientele (pensioni d’oro) oppure ancora a gente che non ha proprio mai lavorato (vitalizi dei politici). Se l’Italia spendesse per le pensioni quello che spende la media dei paesi OCSE (paesi sviluppati), cioè il 9,3% del PIL, la spesa pensionistica ammonterebbe a 144 miliardi, circa 100 miliardi in meno. Questo per dare l’idea del danno fatto dalle politica delle regalie socialiste: “Votatemi, vi manderò in pensione a 35 anni di età…io intanto resto in parlamento a 15000€ al mese e piazzo tutti i miei amici e parenti a lavorare nel pubblico con stipendi e pensioni d’oro”. L’italiano votava dei folli incompetenti e non si preoccupava o non era consapevole delle conseguenze future, nei favolosi anni ’70 e ’80.

Sanità: la spesa è nella norma ma soprattutto paga un servizio irrinunciabile, eppure, secondo voi, dove bisogna tagliare per salvarci dalla bancarotta? A scelta:
1. Sulla liquidazione del trota, sul vitalizio di Razzi e sullo stipendio di Scilipoti
2. Sugli ospedali
Siedi in Parlamento e voti la due. Tutti ti odiano ma tu non ci fai caso.

Interessi passivi sul debito: ecco la causa di tutti i mali, 78 miliardi pagati solo nel 2011 [5] e che continuano a salire vertiginosamente, sballando tutti i costi dello Stato. Per il 2013 si prevede che sfonderanno quota 100 miliardi. Si tratta di una spesa enorme, quasi 2000€ a testa l’anno, per non avere in cambio nessun servizio. Questo lo abbiamo ereditato dai grandi statisti del passato, nessuno escluso. Dedicherò un post ai meccanismi del debito. Per ora diciamo che il debito è stato creato per finanziare le folli politiche degli anni ’80, dopodiché si è autoalimentato con i propri interessi passivi diventando un mostro indomabile.

Istruzione: la spesa è addirittura bassa, se confrontata a quella degli altri paesi dell’OCSE [6] eppure i nostri maghi della politica hanno pensato bene di tagliare questa voce per “salvare” il paese, nonostante l’investimento sulla cultura dei cittadini dovrebbe essere considerato primario quanto la casa, il cibo o la salute. Ma niente paura, possiamo acculturarci davanti alla tv con Uomini e Donne e Jersey Shore.

Affari economici: questa voce comprende [7]:
_affari economici, commerciali e del lavoro
_agricoltura, silvicoltura, pesca e caccia
_combustibili ed energia
_attività estrattive, manifatturiere ed edilizie
_trasporti
_comunicazioni
_altri settori
_ricerca e sviluppo per gli affari economici
_affari economici non altrimenti classificabili

Servizi generali invece comprende:
_attività finanziarie, fiscali e affari
_aiuti economici internazionali
_servizi generali
_ricerca di base
_servizi pubblici generali
_servizi pubblici generali non altrimenti classificabili
_transazioni relative al debito pubblico
_trasferimenti a carattere generale tra diversi livelli di governo

Si tratta di due voci corpose, per giudicarle a fondo occorrerebbe un’analisi approfondita. Anche in questo caso non scommetterei che i soldi siano spesi in maniera inappuntabile, visto l’andazzo generale; diciamo che c’è già abbastanza da piangere concentrandosi sugli sprechi macroscopici in altri campi.

Costi della politica: un fiume di denaro sprecato, esattamente 24,7 miliardi l’anno [8]. Abbiamo un esercito inutile di politici, per di più incompetenti e strapagati. Solo a termine di paragone, il Congresso degli Stati Uniti costa 2,8 miliardi di $ l’anno, circa 2,1 miliardi di € l’anno[9]; in rapporto alla popolazione degli Stati Uniti, noi dovremmo quindi spendere circa 500 milioni l’anno per il Parlamento. Invece il nostro beneamato Parlamento da solo costa 1,7 miliardi di € l’anno, più della somma dei parlamenti di Germania, Francia, Spagna e Inghilterra [10]! La politica italiana costa, in media, circa 4 volte tanto la politica degli altri paesi occidentali, ovvero oltre 18 miliardi in più del dovuto, che sono  l’80% circa della cifra spesa.

Figura 1. Quando si dice: “Spendiamo un po’ ma puntiamo sulla qualità!”

Difesa e forze armate: la spesa non è molto alta in sé, come molte volte si legge su certa stampa, in quanto siamo intorno all’1% del PIL, al di sotto della media europea. Il problema è che i soldi sono spesi molto male: le forze armate italiane infatti sono uno stipendificio per ufficiali troppo numerosi, situazione figlia dell’italico vizio del clientelismo. Abbiamo 95000 graduati per 83000 militari di truppa [11].  Invece di investire i soldi in attrezzature e ammodernamento, li spendiamo negli stipendi degli ufficiali che sono più numerosi che i comandati. Anche qui si potrebbero risparmiare 5-6 miliardi di € l’anno senza intaccare la qualità delle forze armate.

A conti fatti, solo nelle prime nove voci di spesa si possono quindi individuare circa 220 miliardi di € l’anno che vanno sprecati, circa il 28% della spesa pubblica corrente. Concludendo: ogni 10 € che paghiamo di tasse, circa 3€ sono spesi male (leggasi: buttati nel cesso). Gli sprechi gravano, quindi, per una somma pari a circa 9700€ l’anno a testa; se vi piace di più, fanno 812€ al mese a testa [12]. Questi sono soldi che avremmo in tasca se il paese fosse stato sempre governato da persone oneste e competenti. Purtroppo in alcuni settori sarebbe difficile o improponibile modificare la situazione (vedi le pensioni) ma restano comunque margini di manovra per ridurre la spesa pubblica senza andare a intaccare i servizi (sanità e istruzione in primis) come hanno fatto, invece, le menti eccelse che abbiamo avuto al governo fino a oggi.
Ma niente paura, adesso Silvio ci farà risparmiare circa 10€ al mese a testa di IMU!

[12].  Calcolo fatto sulla media dei 22,9 milioni di lavoratori presenti in Italia. E’ opinabile in quanto le imposte non sono tutte a carico dei lavoratori (p.es. IVA), ma serve a dare un’idea della cifra pro-capite